La professione del dramaturg vista da fuori, senza troppa magia e con tanta autoironia.
Ogni volta che racconto che nella vita faccio la dramaturg in un teatro stabile tedesco, in genere fa sempre un grande effetto (sia in Italia che in Germania): ho sempre l’impressione che schiere di pretendenti si mettano in fila, folle di ammiratori non osino chiedere l’autografo, mentre mi pare di sentire riecheggiare da ogni parte un “Ooh!” di stupore e meraviglia. Poi guardo meglio e mi accorgo che non c’è nessuno.
Se fino ad ora, come me all’inizio, vi siete immaginati che il dramaturg sia uno “spirito brillante”, una “mente geniale”, uno “spirito poetico” e a volte addirittura un “intellettuale rinomato”, sappiate che la realtà è ben diversa.
Quando ho firmato il mio contratto nel teatro stabile di Esslingen, piena di voglia di lavorare più intensamente all’interno delle singole produzioni del teatro, il direttore mi ha detto: il dramaturg di produzione è un “articolo di lusso”, “non possiamo permettercelo. Lei sarà pagata per fare il suo lavoro di ufficio. Poi se le avanza tempo, può dedicarlo alle produzioni.” Il lavoro d’ufficio prevede mansioni così disparate tra loro (vedi articolo: Giornata tipica) che di fatto ti tiene impegnato così tanto tempo che il resto diventa davvero un lusso! Per questo il dramaturg nei teatri a volte viene definito semplicemente come “forza lavoro” o “ragazza per tutto”.
Il problema del dramaturg è che il suo mestiere non solo è invisibile, ma è anche vicino a tanti altri mestieri riconosciuti, senza però essere nessuno di questi. Per questo motivo non c’è mestiere più bistrattato che quello del dramaturg. Vi faccio alcuni esempi.
Quando lavori ai testi teatrali, vorresti essere autore, ma non lo sei: eccolo, l “autore impedito”! Se ti va bene, riconoscono le tue doti come consulente per i testi e i copioni e allora diventi un “dizionario di conversazione” o un “libro di consultazione”.
Quando lavori per la creazione della stagione teatrale, vorresti essere direttore, ma non lo sei. All’interno della direzione, di cui fai pur sempre parte, sei una specie di ombra perenne del direttore o della direttrice: se ti uniformi al suo pensiero passi per “pasta aziendale” o per “factotum senza potere”, se ti opponi sei l’ “oppositore legale di sua maestà il direttore” o il “quarto stato del teatro”. Nei confronti del pubblico esterno e soprattutto degli altri teatri e teatranti concorrenti, puoi essere usato come “bue da combattimento” o “foglia di fico per coprire l’ignoranza del direttore del teatro”, se ti va male sei direttamente il “capro espiatorio”, e se ti va bene sei una “eminenza grigia” o una “spilla sfarzosa sul petto della direzione” (che non sei tu).
Quando vai alle prove, vorresti essere regista, ma non lo sei. Così ti trovi spesso a fare critiche inascoltate, passando per la “Cassandra del teatro”, profeta di sventure, un “simpatizzante” sei vai troppo d’accordo col regista, un “Dio sceso in terra” se non vi capite.
Quando collabori con l’ufficio delle relazioni pubbliche vorresti essere un critico esterno, non solo interno, ma non lo sei. Così passi per essere una “macchina per le recensioni (fatte dagli altri)”.
Ma più di tutto vorresti semplicemente essere, e non sei. Perché la cruda verità è che di te il più delle volte si potrebbe benissimo fare a meno. Allora ti chiamano la “quinta ruota del carro di Tespi” o l’ “invenzione del secolo corrente come l’etere etilico e il fulmicotone”.
La definizione che più mi piace è tuttavia quella di “Zeus ohne Blitz und Donner” ovvero “Zeus senza fulmine né tuoni”. Non che suoni particolarmente bene, ma ha un certo fascino della sventura e, a ben pensarci, fa trasparire che qualcosa di forte sotto sotto ci deve essere: avere uno Zeus al fianco, in versione modesta, con del potere ma non troppo, che vi consiglia sia sul copione che sulle vostre idee e sull’effetto che uno spettacolo farà sul pubblico, che vi rassicura e rassicura gli attori, vi indirizza e criticandovi tira fuori il meglio di voi, forse tanto male non è.
Voglio concludere raccontandovi la barzelletta che tutti i teatranti conoscono (nella mia carriera l´ho sentita raccontata almeno 50 volte!) e che sbeffeggia il lavoro del dramaturg come critico durante la prove. Fa così:
Due teatranti tedeschi stanno volando su una mongolfiera. Si sono persi e devono assolutamente tornare in teatro in tempo per la replica. Vedono giù in basso un omino. “Siamo salvi!”. Fanno scendere la mongolfiera, si sporgono dall’abitacolo e gridano: “Scusi, può dirci dove siamo?”. L’uomo li guarda con attenzione, poi risponde: “Su una mongolfiera”. I due teatranti si guardano, poi uno confida all’altro: “Si tratta sicuramente di un dramaturg: ha fatto un’analisi precisa, corretta fino all’osso, ma che non serve assolutamente a niente.”
E in apice, proprio da ultima, la filastrocca che critica il lavoro del dramaturg di analisi del testo:
Der Drama-Dramaturch / lies’ das Drama-Drama durch / und dann fällt das Drama-Drama durch
ovverosia “Il drama-dramaturg analizza il dramma-dramma da cima a fondo e poi il dramma-dramma fa fiasco”
Dunque, se per caso foste interessati a svolgere questa professione, io vi consiglio di armarvi di tanta pazienza, una sporta piena di autoironia e fiducia incondizionata in voi stessi oppure, se proprio non ci riuscite, fate un patto col diavolo, che vi procuri subito un tuono e un fulmine!
Anna Gubiani
Anna Gubiani, dramaturg, cofondatrice di MateâriuM. Nata nel 1977 a San Daniele del Friuli, si diploma alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e si laurea al D.A.M.S. di Bologna. Dopo alcune esperienze come autrice teatrale in Italia, nel 2007 si trasferisce in Germania, dove lavora come dramaturg nei teatri stabili di Erlangen, Stoccarda ed Esslingen.
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