Lucy Prebble e la sua drammaturgia d’esordio The sugar syndrome sono le protagoniste di questo articolo a cura di Veronica Cumaro, che propone un’analisi di quest’opera inedita in Italia.
Le rubriche di MateâriuM | Plays&CO | a cura di: Veronica Cumaro
Dopo aver tanto sentito parlare di Lucy Prebble, considerata una delle drammaturghe più brillanti della scena inglese, un mese fa mi sono imbattuta nel suo testo d’esordio: The sugar syndrome, scritto nel 2003. L’opera le ha fatto vincere il George Devine Award e il TMA Award come Best New Play nel 2004 oltre ad averle aperto le porte del Royal Court Theatre di Londra, vera istituzione della drammaturgia contemporanea inglese. Il testo è di una attualità sorprendete nonostante i quattordici anni d’età, strutturato in due atti, per quattro personaggi più un quinto definito come: The voice of internet, ed innumerevoli scene. Salta subito all’occhio dalle didascalie iniziali come l’autrice fornisca poche indicazioni sulle ambientazioni (a chatroom, a park bench, a park, a front room), mentre sia minuziosa nel descrivere le azioni dei personaggi.
The sugar syndrome affronta temi complessi come la pedofilia, i disturbi psicologici alimentari e il rapporto con la realtà virtuale con i toni di una black comedy. La strategia della Prebble è di mettere in primo piano questioni scottanti (come ad esempio la pedofilia e l’elettroshock utilizzato nella riabilitazione) senza spettacolizzarle, senza mai giudicare ed approfondire (forse una debolezza del testo) e con una ironia e leggerezza che lasciano il lettore sollevato.
La protagonista Dani, è una diciassettenne che ama passare il suo tempo chattando su internet, è sola, arrabbiata e soffre di bulimia o anoressia. Ha una visione lucida e disincanta del mondo e delle relazioni umane tanto da dire «If people knew what other people really thought ot them, I think they’d kill themselves». In chat incontra due uomini con cui sviluppa delle relazioni nella vita reale: Lewis, un ventiduenne geek, con aspirazioni da critico musicale, che si accontenta di pagare l’affitto lavorando in un call center, e Tim, un ex insegnante gentile e ben educato, di trentotto anni, condannato per pedofilia e apparentemente riabilitato dopo la permanenza in prigione. Tra Tim e Dani nasce un’affinità elettiva che solo le persone con una grande sofferenza alle spalle possono sviluppare, tanto che Dani si illuderà, in un eccesso di ottimismo, di poterlo aiutare e sollevare dai suoi continui dubbi e tormenti.
Questo in sintesi, perché la vicenda è intricata e i dialoghi serrati. L’autrice si diverte a ribaltare i piani linguistici e spaziali: laddove Internet diventa il luogo in cui i personaggi possono essere se stessi e dire ciò che vogliono, la realtà che vivono invece è continuamente falsata dalle menzogne che tutti dicono «… I chat a lot. I like the internet. I like that way of talking to people. It’s honest. It’s a place where people are free to say anything they like. And most of what they say is about sex». E così pure nel linguaggio: il pedofilo Tim sarà il portatore di un modo d’essere ed esprimersi forbito ed appropriato mentre Dani e il nerd utilizzano uno slang giovanile infarcito da una quantità di parolacce. E poi c’è il sesso, tutto il testo ne è pervaso, non solo viene evocato dai protagonisti che descrivono le proprie perversioni, ma anche consumato attraverso scene esplicite di masturbazione tra Dani e Tim.
Una domanda che mi sono posta in mezzo a tutte queste questioni apparentemente provocanti ma che l’autrice riesce a normalizzare è: i personaggi vanno giudicati per quello che sono (by what you are) o per quello che fanno (by what you do)? O non vanno giudicati affatto?
Il finale rappresenta una svolta che ci da’ una chiave di lettura dell’intero testo, un rito di passaggio in cui la protagonista perde la fiducia e la leggerezza dell’età adolescenziale.
In conclusione un breve estratto da The sugar sydrome, (il testonon è stato mai tradotto né rappresentato in Italia, n.d.r.) siamo all’inizio della Scena sette nel Primo Atto, Tim e Dani sono seduti al parco su una panchina:
TIM: Avevo bisogno di vederti.
DANI: Veramente?
TIM: Di un aiuto reale. Avevo bisogno di parlarti.
DANI: Ma certo, è quello che voglio, essere d’aiuto.
TIM: Quando sono uscito da quel posto, mi hanno dato ogni tipo di consiglio… Li vuoi sentire?
DANI: Dimmi.
TIM: Mi hanno dato per lo più… numeri. Numeri di telefono di … linee erotiche che sono di ampie vedute. Così, se sentissi il bisogno di sfogarmi. Fanno un eccellente lavoro. Ho chiamato un paio di volte ma poi… quelle povere donne, le immaginavo nei loro salotti mentre mi ascoltavano e tenevano d’occhio i loro bambini…
DANI: Non devi sentirti colpevole nel raccontarmi…
TIM: Ma mi sento così. Non so perché.
DANI: Hai fatto qualcosa?
TIM: Niente, niente.
DANI: E allora?
TIM (prende un respiro): Due appartamenti sopra il mio c’è la bambina di colore più bella che abbia mai visto. La mamma è nera, il papà nessuno l’ha mai visto. Sta seduta fuori, sul muro, mentre i suoi fratelli giocano in strada.
DANI: Una bambina?
TIM: Dovresti vederla. È più chiara di pelle dei suoi fratelli. La chiamano Domino – non so, magari è il suo nome. Sorride, sorride sempre e ha uno sguardo luminoso. La maggior parte del tempo sta seduta su una palla guardandosi attorno. Ha le ciglia più lunghe che abbia mai visto.
DANI (confusa): Ma ti piacciono i bambini.
TIM: Sì lo so, è strano. Ma lei è come un maschietto, un bellissimo ed indipendente cioccolatino! Cristo, è così bella.
DANI: Hai qualcuno con cui parlarne?
TIM: Ne sto parlando con te.
DANI: No, ma… Qualcuno reale.
TIM: Sì potrei parlarne con qualcuno. Ma non voglio che mi spostino di nuovo. Devo controllare tutto questo. E poi dove mi sposterebbero, dove non ci sono bambini, tipo ad Hamlyn? Non voglio fare niente.
da: The sugar syndrome di Lucy Prebble, pp. 29-30, edizioneBloomsbury Metheuen Drama. Traduzione a cura di Veronica Cumaro.
Plays&CO | ricognizioni dal mondo della drammaturgia anglofona
Veronica Cumaro, giornalista e drammaturga. Nata a Udine, ha iniziato ad appassionarsi di teatro e cinema da giovanissima. Laurea al D.A.M.S. di Udine, Master in Storytelling & Performing Arts a Torino, partecipa al workshop in playwriting del Royal Court Theatre di Londra organizzato dal Piccolo Teatro di Milano. Si occupa di comunicazione ed organizzazione di eventi in ambito culturale e dello spettacolo. Collabora, inoltre, con la Scuola Holden di Torino, con diverse riviste on-line e con alcune compagnie di musica e teatro-danza.
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