Drammi a Est: esplorazioni nella drammaturgia e nei teatri dell’Europa balcanica.
In questo articolo, Elisa Copetti ci racconta di “Ipermnesia”, spettacolo di teatro documentario per la regia di Selma Spahić, e della ricerca della memoria per interpretare la rotta balcanica.
La rotta balcanica rappresenta il fenomeno sociale più rilevante che attraversa i Balcani negli ultimi anni. Da quanto anche Croazia, Slovenia, Serbia hanno chiuso ermeticamente i confini, la questione non rappresenta più un tema di interesse per i media italiani, ad eccezione dei media specializzati nell’analisi dei fenomeni locali. L’Osservatorio Balcani e Caucaso in questo compie un’azione meritoria di informazione, studio e analisi non banale di quanto sta accadendo, ospitando ad esempio il reportage del collettivo Checkmate che documenta quotidianamente la situazione e i tentativi dei migranti di varcare il confine: the game è il nome che i migranti danno al tentativo di oltrepassare la frontiera. Nell’ultimo anno abbiamo visto come la rotta balcanica ha trovato un nuovo imbuto: la Bosnia occidentale, il confine di Velika Kladuša. Con le modalità a cui ci siamo abituati vediamo accampamenti informali, vivibilità al limite, violenze e sparizioni, specie di minori. Veniamo a sapere però che parte della popolazione bosniaca si è mobilitata per sostenere e soccorrere i migranti, con i pochi mezzi a disposizione. Ne troviamo testimonianza anche nel reportage della onlus udinese Ospiti in arrivo, dal titolo “Qui siamo in Bosnia, a noi non è concesso dimenticare…”. Mi colpiscono proprio queste parole di un trentenne intervistato che aggiunge di aver dovuto combattere per salvarsi al tempo della guerra e di non poter restare indifferente di fronte alla sofferenza dei migranti intrappolati dal confine invalicabile.
Un collegamento tra memoria ed azione si attiva spontaneamente con il testo teatrale Ipermnesia. Nel maggio del 2011 va in scena al Bitef Teatar di Belgrado lo spettacolo “Hipermnesia” per la regia di Selma Spahić, regista bosniaca, coproduzione del Bitef e di Hartefact fond.
L’ipermnesia è l’aumento abnorme della capacità di ricordare. Si riscontra in soggetti maniaci o dallo stato psichico turbato o alterato. Nel nostro caso ipermnesia è la condizione che Spahić ha richiesto ad un collettivo di otto attori professionisti nati negli anni ’80 in diverse ex repubbliche jugoslave. Un laboratorio di ricerca nella memoria personale svoltosi tra Sarajevo e Belgrado con attori che scandagliano i propri ricordi e scrivono una drammaturgia per mettere in scena la generazione dall’infanzia perduta ma motore del presente.
Lo spettacolo è tecnicamente semplice, scenografia minimale e costumi bianchi; colpisce però il mosaico di immagini e di ricordi che si compone ai nostri occhi: una drammaturgia documentaristica tanto immediata e senza fronzoli, quanto la lingua quotidiana che usano gli attori, ciascuno con le sue peculiarità regionali. Il lettore e lo spettatore comprendono che gli attori raccontano dettagli della propria infanzia e dell’adolescenza vissuta in località diverse di uno stato che non esiste più.
Essere nati negli anni ‘80 nelle diverse repubbliche che componevano l’ex-Jugoslavia significa avere un’infanzia in partenza molto simile ai propri coetanei, ma differente per lo sviluppo che la provenienza geografica ha determinato. Gli attori raccontano la propria infanzia e adolescenza e vicende personali e famigliari (il peso dell’obesità adolescenziale, i rapporti con i genitori e il loro invecchiare, un aborto) dentro gli eventi della Storia (la fuga dei profughi bosniaci, l’anno 1989 a Sarajevo, Pristina, Belgrado; lo scoppio delle guerre nella regione; il bombardamento NATO del Kosovo; l’assedio di Sarajevo; l’anno 1999).
Ne nasce un mosaico di immagini e di racconti divertiti e tragici, ma emozionanti che rappresentano in un’ora e mezza di spettacolo dieci anni di società jugoslava: il ritratto della catastrofe dipinto dai ragazzini.
Segue un breve estratto i cui personaggi sono Ermin Bravo, attore di Sarajevo, Jelena Ćuruvija- Đurica attrice cresciuta a Belgrado e Alban Ukaj, attore di Pristina:
ANNO 1989
ERMIN È il 1989 e a scuola viene organizzato il concorso “Sui sentieri della rivoluzione di Tito”. Riceviamo degli opuscoli con le canzoni sulla Lotta di liberazione nazionale e con le biografie di Tito, Naser e Nehru. Io sono molto interessato al concorso perché ho studiato diligentemente e mi sono impegnato e sono stato un bravo compagno. Sono il primo della classe al concorso, poi il primo della scuola e del comune e parteciperò al concorso cittadino come rappresentante della mia scuola Vuk Karadžić.
ALBAN (in albanese) Anno 1989. Scuola elementare Vuk Karadžić di Priština. Classe terza. Cominciano le manifestazioni e per la prima volta dal primo giorno di scuola mia mamma viene a prendermi. Usciamo da scuola e subito: il caos. C’è gente che corre, c’è proprio una gran confusione, passa anche una Zastava 101 blu della polizia. La mamma dice: “Non guardate, non fate domande”. E di camminare il più veloce possibile e di camminare lungo il muro. Passiamo accanto alla torre dell’orologio e arriviamo vicino all’autostazione. La mamma mi tiene per mano mentre si avvicinano i carri armati.
JELENA Anno 1989. Io sono in seconda media, sono in vacanza. Siamo in montagna a sciare. Rientriamo dalle piste, entriamo in appartamento, la mamma cucina il pranzo, io e mio fratello ci rincorriamo, papà accende il televisore e alza il volume al massimo. C’è una specie di manifestazione e tanto rumore.
ERMIN Proclamano il vincitore e per le classi quarte chiamano me. Entro in scena e sotto le luci dei riflettori ricevo una medaglietta e dei libri di Friedrich Nietzsche e Saul Bellow. Scendo dal palco, gli altri festeggiano con le loro classi e con i presidi delle loro scuole, della mia non c’è nessuno. Allora mi avvio verso casa per dire alla mamma e al papà che io sono il più bravo in qualche cosa, non solo della scuola ma di tutta la città. Fuori pioviggina. Metto tutto sotto la giacca perché non si bagni… E corro, corro, come non ho mai corso prima in vita mia.
ALBAN (in albanese) È la prima volta in vita mia che vedo un carro armato. Chiedo alla mamma: “Che cos’è?”. La mamma risponde: “Non fare domande, non guardare, ti risponderò quando avremo attraversato la strada”. Passa il primo carro armato, subito seguito da un secondo piano, piano, piano. Il terzo è lontanissimo. Io dico alla mamma: “Andiamo adesso?”. Lei dice “No”, ma potremmo tranquillamente attraversare la strada. E invece aspettiamo.
JELENA Nell’appartamento c’è tanto rumore perché a quella manifestazione ci sono migliaia e migliaia di persone. Noi non possiamo fare niente, dobbiamo stare seduti e fermi. Il televisore ronza, ronza…
ERMIN E io corro, corro…
ALBAN (in albanese) Noi aspettiamo aspettiamo, aspettiamo…
JELENA E ronza, ronza, ronza e io comincio poco alla volta ad interessarmi per vedere che sta succedendo perché mi annoio da matti. La gente è arrabbiata e quelli che parlano non riescono a calmarla. Allora compare un signore coi capelli grigi e sotto la scritta Slobodan Milošević. Ad un certo punto dice: “E ora tutti al vostro compito!” E tutti gridano: Aaaaa!!! E si allontanano. Io mi giro verso papà e dico: “Che cosa fanno tutte quelle persone, se ne vanno perché quel tipo gli ha detto così?” No. Lui non mi sentì affatto, continuò a fissare il televisore.
ERMIN Io corro sotto la pioggia battente tra le pozzanghere verso casa entro in appartamento e tutto felice grido: “Mamma, papà!” E non c’è nessuno a casa. Poso i libri e il diploma sul tavolo. Guardo tutte le cose che ho vinto e poi fuori dalla finestra.
ALBAN (in albanese) Restiamo in piedi come ad una parata militare. Il carro armato è piccolo così, ma mano a mano che si avvicina diventa sempre più grande, più grande dei primi due. Passa accanto a noi e si ferma a fianco dell’istituto tecnico, si gira e riparte verso la città. Per strada non c’è più nessuno. Siamo soli. E la mamma dice: “Bene, ora possiamo andare”.
Il mosaico si forma attraverso il recupero della memoria personale, la condivisione col pubblico per ricostruire un passato comune e usarlo come strumento per comprendere il presente. Dal considerare la fortuna di essere nati in un luogo rispetto ad un altro. Dal definire la propria identità in una società complessa.
Il teatro documentario che si sta sviluppando nell’area balcanica ha più di una ragione d’essere, che si trova nella storia e ha i suoi sviluppi nell’oggi. Qui “non è concesso dimenticare” l’esperienza recente. Vedremo però quanto la memoria della propria esperienza aiuterà queste società a restare umane.
BIBLIOGRAFIA
- Scheda dello spettacolo e video da cui sono tratte anche le immagini presenti nell’articolo
- Reportage su OBC
- Pubblicazione cartacea del dramma: “Comunicare letteratura” n° 6/2013, edizioni Osiride, Rovereto (ISBN 978-88-7498-213-4) con traduzione e nota introduttiva al testo
Elisa Copetti
Elisa Copetti, traduttrice letteraria dalle lingue croata e serba, ha scritto una tesi magistrale sul Teatro croato dal 1990 al 2010 con la traduzione di Rose is a rose is a rose is a rose di Ivana Sajko. Ha tradotto drammi di: Almir Imširević, Lada Kaštelan, Ivor Martinić, Milena Marković, Dragan Nikolić, Doruntina Besha. Recentemente ha tradotto Ivo Andrić, Premio Nobel per la letteratura e Olja Savičević Ivančević.
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