Il Friuli è un forziere narrativo ricolmo di storie, personaggi e linguaggi. Questa rubrica propone, in ogni sua puntata, una vicenda che ha tutte le caratteristiche per prestarsi a essere una drammaturgia in potenza, uno spettacolo che non esiste (ancora).
L’ISPIRAZIONE
È primavera. Ritorna la luce del sole, gli alberi si riempiono di fiori e le formiche entrano dalla finestra del bagno. Mentre le aspiro per scoraggiare il loro seguito, penso alla loro esistenza. Che è la nostra esistenza: nasciamo, seguiamo una traccia e finiamo in un tubo nero. Un bello spunto per un testo teatrale allegorico. Mentre continuo a pensarci mi accorgo che per oggi ho finito e spengo l’aspirapolvere. Nel silenzio che ne segue, sento crescere il canto degli uccelli che popolano il giardino fino al punto in cui sovrasta i miei pensieri diventandone il protagonista.
LE FONTI
Numero uno
Fino alla loro abolizione nel 1992, con la Legge n. 157, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, le pratiche dell’uccellagione erano ampiamente diffuse in Friuli; un caro amico una volta definì i friulani come popolo di uccellatori. Non perché ne fossero gli inventori – le origini delle tecniche più elementari si perdono agli albori della civiltà umana e le tecniche più elaborate hanno a che fare con l’area lombarda, come dichiara anche il nome di una di queste (bresciana o bressana) – né per particolare inclinazione alla violenza dell’uomo verso la natura. Bensì per la sua storia di miseria e di fame. Per un misero popolo, piegato al lavoro nei campi e non abbastanza ricco per poter avere accesso ad altre forme di caccia, la cattura degli uccelli silvani rappresentava una possibilità di arricchirsi (vendendo le prede al mercato) e di aggiungere proteine nobili alla propria alimentazione.
A partire dalle prime attestazioni di inizio ‘300, la tecnica e la conoscenza si sono evolute fino a creare sistemi molto elaborati, in un contesto in cui il rapporto tra uomo e natura era più stretto di quello che conosciamo oggi, con una forma di equilibrio tra rispetto e sfruttamento delle risorse. Tra tutti mi colpisce in particolare il roccolo, un elaborato marchingegno in cui ogni entrata in scena è costruita e soppesata con estrema precisione. Ancora oggi ne esistono, anche se non più per la funzione originaria (oggi utilizzati esclusivamente per ricerca scientifica). Tant’è che li ritrovo nel ricordo dell’infanzia come strutture misteriose scoperte in mezzo ai campi (spesso su collinette) che mi impressionavano a colpo d’occhio per la fusione tra tecnica umana e natura, tra ombra e luce, pur non conoscendone la funzione.
Allora andiamo a riscoprirli insieme, compagno drammaturgo. L’impianto è circolare o semicircolare, dall’esterno risulta come una struttura di piante curate ad arcate, ed è questo il punto di vista da cui lo conosciamo finora, ma adesso entriamo. Al centro del boschetto, c’è un prato in cui sono state coltivate piante interessanti per gli uccelli, produttrici di bacche o semi; notiamo ora che tra le arcate sono nascoste delle reti verticali, e vediamo una sorta di torretta a sormontare tutta la scena. L’ambientazione temporale è l’autunno, al momento del “passo” (il ritorno degli uccelli migratori a sud). I protagonisti della messa in scena si dividono per gruppi:
- Zimbelli: Uccelli trattenuti da una sorta di imbracatura di finissimo spago o crine di cavallo, posizionati a terra su una piccola pedana mobile. Al momento giusto, la pedana viene fatta sussultare dall’uccellatore-burattinaio per far svolazzare gli zimbelli. La loro funzione è quella di attirare gli uccelli liberi sul prato dimostrando loro che si tratta di un luogo sicuro.
- Richiami: Uccelli chiusi in gabbie nascoste tra la ramaglia, anche questi allettano i liberi però con il canto. La loro preparazione è estremamente interessante: gli esemplari scelti come più adatti, a partire dalla primavera vengono – gradualmente – tenuti al buio per mesi, gli si fa insomma vivere un inverno artificiale così che in autunno, quando la popolazione dei liberi fa ritorno in zona, vengono – sempre gradualmente – riportati alla luce e si esprimono, in piena gioiosa illusione, nei canti primaverili.
- Spauracchio: Un’ombra, la sagoma di un falco che, quando un nutrito gruppo di prede si è ambientato nel prato, l’uccellatore cala dalla torretta con un contrappeso. Lo spauracchio vola sopra le teste dei liberi che si spaventano. Per salvarsi dalla minaccia, si mettono in volo radente – per evitare lo spauracchio – e finiscono nelle reti nascoste tra le arcate.
Non saprei in che altro modo sottolineare, senza esplicitare, il facile parallelismo tra il roccolo e un palcoscenico. Quindi procediamo.
Numero Due
Nel 1981 va in scena la prima de “La scjaipule” di Alviero Negro, un testo scritto dal drammaturgo qualche anno prima proprio per la Compagnie dal Teatri Sperimentâl di Vile di Buje che lo mise in scena.
Dopo una, ora pare trascurabile, introduzione “umana” in cui Coleto, ubriaco dopo il matrimonio del figlio, si addormenta e comincia un sogno, il testo è ambientato in una gabbia popolata da uccelli di diversa specie, ognuno con caratterizzazione umana costruita su spunti della natura dell’animale reale. Pojane è il potente capo, anche se a sua volta è notoriamente sottoposta a un misterioso potere nominato come Cjastielat; Colomp e Colombe sono l’idealismo giovanile; Lujarut e Lodolute la spensieratezza della gioventù; Cedron l’amaro rivoluzionario; Zuite, Falcon e Zus, tramano nell’ombra. Per Miarli e Corvat prendiamo un esempio dal loro ingresso in scena:
Il corvat, dut vistit a neri e cui ocjai sul bec al ven indenant compagnât dal Miarli sudizionôs e riverent. Il Zus, in ponte di pît, al torne dongje di chei altris doi.
CORVAT continuânt tal so discors E ten ben a mens ancje tu che al pô stati ben… sentenziôs: “Stultum consilium non modo effectu caret, sed ad perniciem quoque mortale devocat” Fedro prin, vincj… Capît?
MIARLI che cuanche al fevele al sivilie le esse Ben capit no, sintut sì!
CORVAT Al vûl dî che un consei stupit no dome nol oten bogns risultâts, ma anzit, al puarte i mortai ae ruvine… Stoltezza di consiglio, non pur d’effetto è scema, ma spesso adduce alla rovina estrema. Rigutini, par tant che tu sepis.
I temi de “La scjaipule” sono la libertà e il potere. Il conflitto ruota tutto attorno a un punto: è meglio vivere in una gabbia, confortevole e sicura, ma assoggettati a un potere sconosciuto o è meglio vivere in libertà mettendo a rischio la propria vita per mano (o meglio bocca) di gatti e cani?
Personaggi come il Colomp e la Colombe, e il Cedron, politicamente, non hanno dubbi e nelle loro parole rieccheggiano le discussioni di fine anni ’70 e il bilancio di un’esperienza passata: “Che de scjaipule e je leç dispotiche, e je autoritât costituide sul arbitri di pôcs cuintri la volontât e libertât de maiorance, mantignude cun la pore e sustignude cun la violenze e, duncje, e je cuintri nature. Nestri dovê al è di sdrumale.”
Ma anche le giovani, esistenzialmente, hanno altre aspirazioni:
LODOLUTE [su un’altalena interna alla gabbia] ridint di gust Adalt! Sburtaimi plui adalt!
PASSARE Plui adalt di cussì?
FAVITE Tu svolis fûr…
LODOLUTE Magari… O ai voe di svolâ jo… Ma no di faus un dituart a vualtris
FAVITE E crodistu, tu che nô no vedin gole di svolâ?
PASSARE Sigûr, fin parsore i nui.
LODOLUTE cambiant il tono de vos Jo o vuei iessi le anime dal mont! La gnagne Parussule mi à dit che no o sin l’anime dal mont. Ce ise l’anime?
PASSARE L’anime… L’anime e je une bavisele, e je come un buf di aiarin lizer e dolç, come une batude di alis. Chel batî di alis che dome nô o podin falu…
Il potere è rappresentato direttamente dalla Pojana ma questa ne è solo una propagazione, il vero potere è il lontano e misterioso Cjastielat, che la Pojana deve rappresentare fin troppo umanamente: “E no sono in crôs chei come me? Garantî l’ordin, la discipline, la funzion regolar di ducj i insets di une comunitât diferenziade in ogni so element e continuamentri in bolidure. E jessi dûrs, dispojâts di ogni passion e di ogni debolece, frêts cence calor de famee, dislidrizâts dal proprit jessi …? Cence remission, prime par se stes e dopo par chei altris… par podê jessi imparziai?”
Nel finale, la Pojana, messa in difficoltà da Zuite, Falcon e gli altri cospiratori, perde fiducia e perde potere. Colomp e Cedron la confrontano direttamente, riconoscendo il valore del suo servizio e della sicurezza di cui hanno beneficiato fino a quel punto ma decidendo per la libertà di essere sé stessi e quindi fuori dalla gabbia.
PIC […] E alore, no sino ucei? O no?
CEDRON Sì! Ucei pes plumis, pes zatis, pal bec… ma culì dentri nissun nol è tal so jessi: nus mancje l’anime, nus mancje la pussibilitât di pode manifestasi e, a cualchidun, oramai, ancje la voe di jessi se stes… ucel, ven a stai.
Infine, in occasione dell’annuale festa della gabbia, si preparano contemporaneamente la fuga dei rivoluzionari e il colpo di stato dei cospiratori e:
[Cedron] si bute jù dai scjalins. Al rive ae portele de Scjaipule, intal moment che il Pic e il Lujarut a son fûr. Al fas di viarzi, ma in chel, une grande sflameade, un gran ton e Scjaipule e dut a saltin par ajar. Il Cedron al ven butât par tiere e lì al reste, cence movisi. Di fûr: sigos, bajâ di cjans, sgnaulâ di gjats, dut un vaî e une grande confusion. In sene: scur e fump e po’, un sito trement che, a un cert moment, al ven rot di un cjulâ che al sgrisule: il ciulâ di muart de Zuite. Sul so tuto-mio, tuto-mio, si siere il tendon.
Non pensarlo nemmeno, collega drammaturgo: non abbiamo divagato. Non troppo, perlomeno, e ora ti dimostro perché.
È evidente come la Scjaipule fosse espressione del suo tempo, di bilanci politici e discussioni sull’identità. Ma abbiamo visto uccelli consapevoli di vivere in gabbia, in fondo liberi di decidere che cosa fare. E ora che cosa potremmo scrivere?
GLI SPUNTI
Riprendiamo innanzitutto la caratterizzazione dei personaggi, trovando nelle singole specie di uccelli elementi umani che li trasfigurino in simboli. Usiamo come spunto due opere curiose nel loro essere letteratura e trattato scientifico: “L’arte dell’andar per uccelli con vischio” e “L’arte dell’andar per uccelli con reti”. Due veloci esempi lampanti:
“Il fringuello è per certo il re di tutti richiami. Pare dipinto a pastello da una mano crepuscolare con volontà di trar fuori la grazia un po’ scabra dei colori d’autunno. È uccello scontroso, ma non solitario, dei più orgogliosi e lunatici. […] Il più comune si chiama Francescomio perché par dica in fretta, cantando, quelle due parole. C’è poi il Barbazio, flauto dei colli e ci sono, meno frequenti, i due tipi di Ciccibeo […] Il Ciccicio e il Cicciio, scontrosissimi e amati, prevalgono tra gli stanziali.”
“Ciarliere, furbe, rissose, dolci e reconditamente splendide, le passerette sono la vita del mondo: la coniugano in se medesime: con il caldo, il freddo, l’amore, la morte: in una parola: sono.”
Non serve aggiungere altro, selezioniamo i nostri protagonisti e lavoriamo per tradurre in scena le loro caratteristiche.
Gli uccelli liberi che finiscono nel roccolo sono del tutto inconsapevoli del loro essere in trappola. Sono stati attirati da spettacolari illusioni, e come potremmo noi giudicarli, ed è un ultimo marchingegno fatale a decretarne la fine. Di che cosa potrebbe parlare questo gruppo di fringuelli, passerette, tordi, frosoni, nel momento (inconsapevolmente) finale della loro vita? Chi farebbe sorgere il sospetto, chi deriderebbe la paura con sicurezza e chi, di fronte a un simile paradiso, non si preoccuperebbe più di tanto?
Chi sono i zimbelli e i richiami? Convinti o costretti collaborazionisti? Si sentono lusingati di essere stati scelti come collaboratori e per questo lontani dalla miseria dei propri simili liberi?
Il supremo burattinaio della condizione esistenziale dei volatili inconsapevoli è l’uccellatore. Chi è? Ci interessa che sia un dio? Ci interessa che sia un potente e oscuro manovratore delle vite altrui? Ci potrebbe forse interessare considerare come, a questo teatrino perfetto costruito con altissima abilità tecnica, attente osservazioni empiriche, perfetta conoscenza delle proprie prede, corrisponda infine un guadagno piuttosto misero, se visto da un punto di vista più ampio. Somiglia un po’ a chi manovra l’aspirapolvere che pone fine alla ricerca delle formiche, a sua volta destinato a un aspirapolvere più grande.
PER ESEMPIO, UN INIZIO
Intun prât, plen di plantes e di mangjâ, a rivin, un a la volte, dai uceluts. Si stâ ben in compagnie e al è di mangjâ. Intant che si mangje, a tachin a discuti, dai viaçs fats, di ce biel che al è torna a cjase e cjatâ dut chest ben di dio, cualchidun al è un tic dubios sul parcè di tante fortune, cualchidun no parceche al è convint di jessise meretade. Di bot, al salte fûr di une cisute, un gnuf ucelut, dut ingredeât…
BIBLIOGRAFIA
Sandro Ceccone “Sentieri per uccellande”, 2008
Amedeo Giacomini “L’arte dell’andar per uccelli con reti”, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1990
Amedeo Giacomini “L’arte dell’andar per uccelli con vischio”, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1969
Alviero Negro “La scjaipule”, 1981
Giuliano P. Salvini, Rolando Bier “Le cacce del brivido – Mezzi e sistemi di caccia e cattura nel passato”, 1997
Grazie a Gianni per lo spunto e il materiale. Grazie a Carla e a Francesco per l’accesso all’archivio della Compagnie dal Teatri Sperimentâl di Vile di Buje e per la sua conservazione.
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