In questo articolo Elisa Copetti ci racconta della giovane drammaturga Doruntina Basha e della sua ricerca sociologica ed artistica in Kosovo.
Le rubriche di MateâriuM | Drammi a est: Esplorazioni nella drammaturgia e nei teatri dell’Europa balcanica | a cura di: Elisa Copetti
Alcuni giorni fa sul Corriere della Sera Francesco Battistini scriveva di un musical andato in scena al teatro di Gračanica, cittadina serba in Kosovo, e dedicato alla famiglia di Slobodan Milošević. L’operazione ha suscitato clamore e commenti accesi fuori dall’enclave serba, e a me ha dato lo spunto per presentarvi un testo che certamente non ha divertito il pubblico, ma che ha lasciato una traccia nella drammaturgia kosovara. Sto parlando de “Il dito”, opera prima di Doruntina Basha, drammaturga e sceneggiatrice nata a Prishtina nel 1981, e vera chicca della drammaturgia contemporanea dell’area.
Il dramma prende forma nel 2011 a partire da un lungo progetto di ricerca sulle storie delle famiglie, che durante la guerra in Kosovo del 1998-1999 hanno avuto un famigliare scomparso. La ricerca parte dal fatto che la maggior parte delle famiglie albanesi kosovare ha una persona cara scomparsa, uomini soprattutto, prelevati dalle loro case e condotti in luoghi sconosciuti da militari e paramilitari. Un’eredità della guerra che permea la società contemporanea kosovara e che accomuna per certi versi il Kosovo all’Egitto e al Messico dei nostri giorni.
A partire dalle storie delle famiglie intervistate, Basha si confronta con il tema delle sparizioni forzate, e raccoglie un altro materiale prezioso: storie di donne che raccontano la propria vita nella famiglia contemporanea. Ne ricava un’indagine sulla condizione femminile in una società profondamente ancorata alla tradizione che usa le sue norme come strumenti per elaborare le sparizioni.
Basha costruisce così un testo stratificato nel quale due sono le protagoniste: Shkurta, la nuora, e Zoja, la suocera. Le due donne convivono, sole, in attesa che il marito dell’una, e figlio dell’altra, ritorni a casa. Cucinano il suo piatto preferito, ciascuna convinta di essere l’unica a conoscerlo veramente. Shkurta è irrequieta, mal sopporta la suocera e i suoi maltrattamenti; Zoja porta il fardello di questa nuora indesiderata da custodire fino al ritorno del figlio. Il giovane però non ritornerà: è scomparso dieci anni prima, in una sera come quella e la cena che stanno preparando è destinata a un desaparecido. Il loro è soltanto un rito che si rinnova però ogni anno, con l’arrivo della nuova stagione e delle piogge, con la preparazione delle valige per sfuggire all’inondazione.
Un incidente durante la preparazione della cena scatena lo scontro tra le due: la giovane rivendica la propria libertà e la volontà di ricrearsi una vita accettando il fatto di essere certamente vedova; la suocera cinquantenne, in lotta con l’evidenza della morte del figlio, non si rassegna e mantiene caparbiamente l’equilibrio perpetuando le norme della società arcaica e patriarcale. Entrambe smarrite dal dolore, dalla volontà di liberarsi, dalla necessità di accettare la morte dell’uomo tanto amato e dalla paura di fare i conti con essa.
SHKURTA: Non è necessario che ti occupi di me.
ZOJA: (pulisce la ferita e avvolge il dito con la garza) Non mi sei utile se sei ferita.
SHKURTA: Peggio una nuora ferita che una cavalla malata.
ZOJA: C’è ancora molto da fare.
SHKURTA: Tutto sarà pronto per tempo. La cerimonia comincia verso sera.
ZOJA: Cerimonia? (ride) A volte è veramente ridicolo come ti esprimi.
SHKURTA: Forse è ridicolo come mi capisci tu.
ZOJA: Non puoi chiamare cerimonia qualcosa che…
SHKURTA: (ritira il dito) Veramente, non ti preoccupare.
ZOJA: Ecco, solo un momento… Non va bene che lasci tracce di sangue su tutto quello che tocchi.
SHKURTA: L’ho già fatto.
ZOJA: No. Hai sporcato solo lo straccio.
SHKURTA: Pensavo a prima, alle tracce di sangue invisibile.
ZOJA: Tu farnetichi…
SHKURTA: Non credo si possa farneticare per un dito tagliato. Ma per il sangue invisibile, sì.
ZOJA: Fa niente.
SHKURTA: Tutta questa casa è impregnata del mio sangue invisibile. Anche tu, anche se ci tocchiamo raramente. Forse ti è rimasto quando ti sei seduta sul divano. Quando tu non ci sei, io mi stendo e sanguino quanto mi pare e piace.
ZOJA: Non ti capisco.
SHKURTA: Era tanto che non dicevi “fa niente”. Una volta era la tua espressione preferita. Che cosa è successo?
ZOJA: Non lo so. Ho perso l’abitudine.
SHKURTA: Anche i pregi.
ZOJA: Sempre, anche quando ero giovane…
SHKURTA: La tua giovinezza non mi interessa! Dev’essere stata molto noiosa.
ZOJA: (termina di avvolgere il dito con la garza) Ora puoi di nuovo usare il dito.
Basha è drammaturga di talento, ce ne accorgiamo dopo poche battute: i dialoghi sono rapidi e sagaci, la narrazione si articola per dettagli che ci portano gradualmente verso un colpo di scena, che scioglierà affatto banalmente. I personaggi sono delineati con tanta profondità da straniarci (siamo in Kosovo, ma potremmo essere in qualsiasi altro paese) e commuoverci per tanta umanità.
Il dito di Basha è un indice che sanguina e non può indicare nessun colpevole: nessun assassino dell’uomo, nessun marito violento, nessuna figlia abbandonata, nessuno che sia il solo colpevole di tutto il male di una vita. Preferisce, il dito, sanguinare e lasciarsi andare all’immobilità dei giorni.
“Il dito” ha vinto il Premio Miglior testo drammatico di impegno dell’area ex jugoslava promosso dalla Fondazione Heartefact di Belgrado, in collaborazione con il centro Qendra Multimedia di Prishtina. Proprio a Belgrado ha debuttato in lingua serba prima che in originale nel dicembre 2012. Da questo testo ho lavorato alla traduzione in italiano ancora inedita con l’intenzione di portare anche in Italia Doruntina Basha, autrice che assieme a Jeton Neziraj è una tra i pochi artisti ad aver travalicato i confini geografici del Kosovo con la sua opera tradotta anche in francese e tedesco. Negli ultimi anni l’attività di Basha si è concentrata soprattutto sulle sceneggiature per film e TV, ma io spero che la sua scrittura potente torni presto a farsi sentire sui palcoscenici, non solo nostri, ma soprattutto del suo paese.
Scheda dello spettacolo “Il dito”
Intervista all’autrice in inglese
Articolo sul Corriere della Sera
Drammi a est | Esplorazioni nella drammaturgia e nei teatri dell’Europa balcanica
Elisa Copetti, traduttrice letteraria dalle lingue croata e serba, ha scritto una tesi magistrale sul Teatro croato dal 1990 al 2010 con la traduzione di Rose is a rose is a rose is a rose di Ivana Sajko. Ha tradotto drammi di: Almir Imširević, Lada Kaštelan, Ivor Martinić, Milena Marković, Dragan Nikolić, Doruntina Besha. Recentemente ha tradotto Ivo Andrić, Premio Nobel per la letteratura e Olja Savičević Ivančević.
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